martedì 11 dicembre 2007

martedì 6 novembre 2007

Nicola Gobbetto - Interview


Mi piace pensare a Nicola Gobbetto come al Peter Pan dell’arte milanese. L’eterno fanciullo che dietro la superficie delicata delle sue opere, tratte dall’adolescenza e dal mondo dell’infanzia, si cela sempre qualcosa d’irrequieto, trasformando la serenità delle favole in una tranquillità apparente, dove il lieto fine è stato volutamente cancellato.

E’ la prima volta che mi capita d'intervistare un artista di cui sono molto amico, è strano...Conoscendoti potrei azzardare che da piccolo eri il classico bambino educato e timido che disegnava tutto il tempo ho ragione?
Sì, disegnavo dappertutto anche durante i viaggi in macchina. Educato sì, i miei genitori mi obbligavano a comportarmi come un piccolo lord ma stranamente non ero affatto timido e al ristorante andavo a cantare le canzoni dei cartoni animati agli altri tavoli e chiedevo l'elemosina. Ero molto determinato, ottenevo tutto ciò che volevo, essendo figlio unico ero molto viziato.

Nelle tue opere c'è sempre qualcosa di fanciullesco e Disneyano, ma la sensazione che ho è che spesso il lieto fine non sia scontato, sbaglio?
Esatto, anzi tendo proprio a cancellare il lieto fine nelle fiabe ma anche nei film. Preferisco i momenti cruciali dove il protagonista è messo a dura prova.

Com'è stata la tua adolescenza?
Tutto sommato abbastanza serena, anche la scoperta della sessualità non è stata traumatica. La mattina dopo il mio primo sogno bagnato mia madre mi ha semplicemente detto: "ti se macchiato il pigiama…" e ho continuato a fare colazione come se niente fosse.

Se dovessi scegliere di vivere una fiaba quale sarebbe e chi vorresti essere?
Il pifferaio magico; vorrei essere uno di quei bambini inghiottiti per sempre dalla montagna.

Il contrasto è un elemento che adoro nei tuoi lavori e mi riferisco in particolare alla tua scritta Disneyland riempita d'immagini pornografiche gay maschili, me ne parli?
Il sesso è tra i miei giochi preferiti. Il sesso come parco divertimenti, da lontano la scritta Disneyland sembra una qualunque scritta rosa innoqua ed inoffensiva, ma se ti avvicini scopri che è composta da immagini di cazzi e culi.

Anche il tuo nome era iscritto nell'elenco d'artisti per la mostra Vade Retro. Che ne pensi di quello che è accaduto?
Mi sono perso quasi tutti i passaggi, mi teneva aggiornato mio padre che leggeva le evoluzioni sui quotidiani. Ora so che dopo le infinite vicissitudini approderà a Firenze. Comunque penso che chi l'ha organizzata sia riuscito ad ottenete esattamente quello che voleva: alzare un gran polverone.

Qual'è l' inesauribile fonte d'ispirazione per i tuoi lavori?
La natura, le stagioni, la teoria dei colori, la geometria, i mobili di Ettore Sottsass, i Macarons della pasticceria francese Ladurée, i libri di David Bachelor "Cromofobia" e “Nerd Power” di Stefano Priarone, la fase di apparente declino di Britney Spears, i film di Todd Solondz, i videogiochi degli anni '80, le incisioni del Settecento e dell'Ottocento, Jackass, i Fuccons…

Abbiamo molti interessi in comune, di quale non potresti fare a meno?
Viaggiare e tenermi sempre aggiornato sullo stato di devasto delle ninfette (…o ex ninfette) del pop.

Come ci si sente a vivere d'artista?
Vivrei allo stesso modo anche se facessi il panettiere o il pescivendolo sperando di avere in ogni modo la stessa visione delle cose, appassionata e scettica/disincantata allo stesso tempo.

Sei un fan della TV spazzatura; che cosa ti diverte di quel mondo?
Dico sempre che la tv spazzatura è il miglior rimedio per disintossicarsi un po' da ciò che viene comunemente definito "impegnato".

Quale sarà la tua prossima mossa?
Ho una mostra itinerante organizzata dalla Credit Suisse. Toccherà le principali città europee e non solo, tra cui Londra, Zurigo, New York, Tokyo, Parigi, poi ho la mia prima intervista in tv per una trasmissione che si chiama "Life Sharing" per il canale Bonsai di Alice Hometv.

domenica 4 novembre 2007

Melanie Pullen - Interview


Artista americana nata a New York nel 1975, vive e lavora a Los Angeles. Le sue opere sono una ricostruzione dettagliata di delitti vintage realmente accaduti. Le vittime reali sono state sostituite da modelle o attrici vestite con abiti ed accessori d’alta moda, inseriti volontariamente dall’artista per distogliere l’attenzione dall’omicidio. Il risultato è un immaginario cinematografico che accarezza moda, cronaca ed arte.

Sei nata a New York ma ora vivi a Los Angeles credi che il tuo surrond abbia influenzato il tuo essere?
Sì, sono cresciuta circondata da artisti. Allevata nel Village. Non sono mai andata all’università. Poi mi sono trasferita in California e sono venuta a contatto con il cinema. Los Angeles è una città strana nessuno va in giro a piedi e va a letto molto presto. Questo mi ha permesso di scattare in location fantastiche, che erano deserte. E’ un lato della città che adoro. Stando sveglia fino a tardi mi avvantaggio perché la città è vuota.

Ciò che mi colpisce maggiormente nelle tue fotografie, è che osservandole si notano diversi dettagli e cominci a farti domande sulla storia che si cela dietro quel particolare omicidio. Era questa la tua intenzione?
Sì, ogni immagine racconta una storia perfetta e si basa su qualcosa realmente accaduto. Ci sono un’infinità di domande che nascono spontanee guardando ogni pezzo. C’è un inizio ed una parte centrale che devi capire, hai soltanto la parte finale, è quello l’indovinello che rimane da svelare. La vita di ognuno è una storia ed è ciò che rende le persone così interessanti, ma qui abbiamo anche il voyeurismo e il dramma mescolati insieme.

Com’è nata l’idea di dare una nota glam ad alcuni crimini americani?
Circa dieci anni fa ero in una libreria di Los Angeles a sfogliare libri di fotografia, per caso presi in mano questo libro vintage fotografico di scene del crimine. Le fotografie erano davvero inquietanti, ma mi sono trovata incapace di posarlo. Quella notte ero stregata dalle immagini ed ho avuto difficoltà a dormire. Pochi anni dopo mi trovavo nella stessa libreria e di nuovo accidentalmente presi in mano un altro di libro di scene del crimine, questa volta anziché soffermare la mia attenzione sulla scena e la morte, mi accorsi che davo maggior attenzione all’ambientazione, ai vestiti e ai piccoli dettagli. Quando tornai a casa quella notte, mi resi conto di aver osservato terribili immagini di morte, non potevo crederci, iniziai a riflettere sulle mie passate esperienze. Credo che questo mi abbia lentamente desensibilizzato verso questo tipo di soggetto. A quel punto ho deciso di creare le High Fashion Crime Scenes. La mia serie ti porta attraverso questo processo di glamourizzazione e desensibilizzazione alla violenza. Noti i dettagli che sono molto cinematografici e sopra le righe. Guardi prima le scarpe poi mentre te ne stai andando ti rendi conto che ciò che stavi osservando era una donna appesa.

So che uno dei libri a cui ti sei ispirata è stato quello di Luc Sant…
Quello è il secondo libro che ho preso in mano nella libreria. Si tratta di una meravigliosa collezione d’immagini del dipartimento di polizia di New York tra il 1912 e 1914. Sono immagini senza tempo che raccontano la storia della città. Molte delle fotografie non hanno più la documentazione che dica chi fossero le vittime. In quell’ultimo saluto le persone sono perfette. Raccontano tutte una storia, che è ciò che faccio con il mio lavoro ed è ciò che ho sempre cercato di raggiungere.

Non so se tu sei d’accordo con me, ma le donne che rappresenti nelle tue fotografie nonostante siano morte o assassinate mantengono sempre la loro eleganza. Sono stati i vestiti d’alta moda il mezzo per creare questo allure?
Ho introdotto l’abbigliamento come il mezzo per creare questa sensazione e dare alle donne una personalità. Quando vedi la gente per strada, la si giudica in base a ciò che sta indossando. I vestiti danno un’impressione molto forte ed importante. Tu riesci semplicemente a dire che uno sia un dottore o un business man da ciò che indossa. Così quando ho inserito pezzi d’alta moda nel mio lavoro, l’ho fatto per rendere le donne senza tempo e offrire loro dignità.

E’ vero che hai fatto un’ampia ricerca per ogni omicidio? Quanto tempo impieghi dal momento della documentazione al giorno dello shooting?
Alcune immagini hanno richiesto parecchi mesi. Ho lavorato con un team degli effetti speciali, una squadra cinematografica, il coroner della contea di Los Angeles, la polizia etc. Poi ho personalmente ritoccato e stampato le mie foto. Cerco di tenere ogni aspetto sotto controllo.

Riesci a trasformare un momento così drammatico in una cinematografica tranquillità apparente, come ci sei riuscita?
Volevo portare anche il cinema nel risultato finale. Una delle mie più grandi fonti d’inspirazione è sempre stato il grande cinema. Ho creduto che il tipo di luce ed i colori si sposassero perfettamente con i vestiti e avrei potuto catturare e creare qualcosa di meraviglioso. Molti miei collezionisti fanno parte del mondo del cinema, ho ricevuto lettere da registi e cinematografi che mi hanno chiesto come creo le mie immagini. Questo per me è un bellissimo complimento, soprattutto se fatto da artisti che reputo brillanti.

Sei stata nei luoghi dove queste persone sono state realmente uccise oppure hai ricreato tutto?
La maggior parte delle volte è stato tutto ricreato, ma a volte ho usato location reali.

A cosa stai lavorando ultimamente?
Sto lavorando ad un progetto sulla guerra ispirandomi a quadri storici di scene di battaglia. Sono diventata completamente immune al crimine ed alla violenza ma per qualche ragione non sono mai riuscita a passar sopra immagini di guerra. La mia nuova serie non ha riferimenti politici, sto lavorando solo con dei top model, uno di quelli che ho recentemente fotografato è stato il testimonial di Gucci. Ho fatto questa scelta per creare immagini con uno stile epico e look iconografico.

mercoledì 17 ottobre 2007

sabato 22 settembre 2007

Kris Knight - Interview (italian/english)


Kris Knight è nato nel 1980 in Canada, vive e lavora a Toronto, i suoi quadri hanno un sapore dark di chi l’adolescenza l’ha vissuta in mezzo ai boschi. Guardandoli si provano sensazioni inquiete come il piacevole senso di pericolo per qualcosa che sta per accadere o l’ansia di essere scoperti durante un incontro clandestino. Questo è lo scenario che Kris Knight offre ai nostri occhi facendoci ricordare sensazioni famigliari che quasi ogni adolescente ha provato per lo meno una volta.

Quando hai capito che la pittura sarebbe diventata il mezzo per esprimere il tuo talento artistico?
Sono sempre stato uno bambino creativo. Tutti i miei regali di compleanno sono sempre stati forniture artistiche è forse per questo che mi sono sempre sentito sposato all’arte. Ho capito di essere interessato alla pittura fin da teenager, quando mi sono accorto di osservare la faccia delle persone come un rapporto tra ombre e volumi e di come le avrei dipinte. E’ come quando un musicista diventa ossessionato dal decostruire in note una canzone e non l’ascolta in realtà per ciò che è.

Mi parli del tuo background?
Sono cresciuto in tanti piccoli paesi nella provincia canadese dell’Ontario. Ho sempre sognato le grandi metropoli ( Ho iniziato a risparmiare per il mio primo appartamento all’età di tredici anni) ma ora non posso immaginare come sarebbe stato se non fossi cresciuto tra i boschi. Il mio amore/odio per la campagna ha definitivamente determinato chi sono ed i miei tentativi artistici.

Com’è vivere a Toronto?
Toronto è una città meravigliosa, è molto umile e siamo tutti più o meno eguali qui. Come artista è una città del: “Crea il tuo destino”, devi veramente lavorare sodo.

L’ultima tua serie di lavori è concentrata sull’adolescenza, come mai hai deciso di analizzare questo particolare tema?
La mia è stata un’adolescenza elettrizzante e rischiosa, sempre in costante bilanciamento tra due personalità ed il capire se ci fosse una via di mezzo. Crescere come gay in campagna fa schifo, ma la rabbia può portare alla motivazione. Come teenager apparivo come un ragazzo d’oro con i voti migliori, eletto re del ballo di fine anno, ma allo stesso tempo mi stavo incasinando parecchio e avevo un sacco di storie. Il mio nuovo lavoro ruota proprio attorno agli incontri degli adolescenti gay in queste province. Questi approcci sono solo più complicati e nascosti, caratterizzati da constanti menzogne e paure di essere scoperti.

Ciò che mi colpisce, osservando questi ragazzi che ritrai, è la tensione tra la loro innocenza perduta e la minaccia che qualcosa di brutto stia per accadere. Come fai a fermare proprio questo momento?
Da adolescente non ero dichiarato ma ho avuto le mie storie in posti remoti, come i boschi e i campi. Questi posti erano sicuri per me perché erano isolati dagli altri la cui bigotteria sarebbe stata letale. Avevo sempre i pugni nelle mie tasche perché ero sempre in guardia. I miei quadri tendono ad avere la stessa tensione ed i protagonisti sono sulle difensive e vigili, anche se la loro giovinezza li percepisce come vulnerabili.

Ci sono molte emozioni dark e gotiche hai preso inspirazione da alcune delle tue ansie adolescenziali?
Adoro la dicotomia tra bellezza/minaccia, credo sia la caratteristica che unisce i differenti temi del mio lavoro. Le cose non sono buone o cattive al 100%. Credo che tutti abbiano un piccolo lato oscuro. I miei quadri hanno sempre avuto l’angoscia come caratteristica e i miei personaggi sembrano sempre essere sospettosi.

Cosa ricordi dei tuoi anni da adolescente?
Ero angosciato per il fatto di mentire sempre, cercavo di non essere pestato e sentivo la pressione per la scuola. Non provengo da una famiglia abbiente quindi l’ottenere una borsa di studio era la mia più grande ispirazione. Mi sono anche divertito molto, se qualcuno definisce divertente bere nei fossati.

Dove prendi ispirazione per i tuoi lavori? Qual è la fonte della tua creatività?
Inizio ogni serie con un tema e poi ci lavoro sopra. Tutto ciò che dipingo è in qualche modo autobiografico anche se uso altri modelli. Faccio molto riferimento alla storia, ai racconti ed alla musica. Vorrei che i miei lavori fossero letti come capitoli di un buon libro, c’é un inizio ed una fine. Odio gli artisti che continuano a fare la stessa cosa. Se faccio una serie ed è ben recepita, voglio fare qualcosa di completamente differente per la prossima mostra.

Quando inizi un quadro hai in mente fin dall’inizio il volto di chi vuoi dipingere oppure scaturisce naturalmente lavorando?
Potrei iniziare prendendo spunto da una foto o da un modello ma non mi affido mai totalmente a questo. Non mi piace la pressione di dovere rendere il look di una persona troppo accurata. Mi piace la pittura perché adoro creare immagini; non mi piace riprodurre ciò che esiste già realmente. Molte persone mi dicono che i miei quadri mi assomiglino e in qualche modo è vero perché la faccia che conosci meglio è la tua, o forse è soltanto pigrizia.

In un paio di tuoi lavori si percepisce la presenza dei vampiri attraverso dettagli come un morso sul collo o una collana d’aglio, me ne parli?
Quei quadri sono della serie “Night Boys”, che è il mio tentativo di fare gay art. Odio con tutto me stesso l’arte gay commerciale; i toraci, i muscoli e lo sfruttamento della sessualità. La trovo noiosa e ridondante. I miei nuovi lavori hanno questi riferimenti ai vampiri e agli zombi perché la cultura gay è ossessionata dalla giovinezza: ho incontrato un sacco di uomini maturi che volevano solo prosciugare la mia giovinezza. Quando ero più giovane ero angosciato dal fatto di dover mentire e coprire le mie tracce, mi sentivo veramente morto ecco da dove è derivata l’idea degli zombi.

Titoli di alcuni tuoi quadri come works like wooden & alone, the lost & found, lucky charm and night breaker sarebbero perfetti anche titoli di canzoni, ascolti molta musica quando dipingi?
Spendo più soldi in musica che in forniture artistiche, è sempre stata la mia ispirazione. Prendo piccoli pezzetti dalle canzoni e le trasporto nel mio lavoro, consciamente e non. Quando m’innamoro di una canzone sogno come la costruirei visivamente, quelle immagini appaiono spesso nei miei quadri. In questo momento sto ascoltando molto i Girl In A Coma, Emily Haines, Malora Creager e Stevie Nicks quando ho nostalgia di casa (sono cresciuto con i Fleetwood Mac).

Perché dipingi ragazzi con la felpa col cappuccio?
E’ un elemento specifico della cultura giovanile. Mi piace l’anonimia ed il mistero che si avverte nell’indossarlo, è minaccioso e protettivo allo stesso tempo.

Ti ricordi i sogni quando ti svegli?
A volte ma sono più un sognatore ad occhi aperti. Sono una di quelle persone che appare molto tranquilla, ma in realtà sto solo cercando di ordinare ciò che esce dalla mia mente.

Qual è la tua fiaba preferita?
Ero molto affezionato alla fiaba tedesca di Hansel e Gretel, ho trascorso molto tempo da bambino nei boschi, ho sempre pensato che mi sarei perso. Il concetto di abbandonare i tuoi figli nei boschi è così folle. Mia madre era solita farlo con i nostri gatti, perché erano randagi e quindi avremmo avuto un sacco di gattini. Ho sempre pensato che avrebbero trovato la loro strada verso casa come Hansel e Gretel e a volte alcuni ci sono riusciti. Non posso credere di averti appena raccontato questa storia, suona così bizzarra, penserai che avrò seri problemi d’abbandono.

English

Kris Knight was born in 1980 in Canada, he lives and works in Toronto, his paintings have a dark flavour of whom has lived his adolescence in the woods. Looking at his works you feel restless feelings like the pleasant sense of danger for something that is going to happen or like the anxiety to be discovered during an undercover date. This is the scenario that Kris Knight offers to our eyes making us remember familiar feelings that almost every adolescent has at least tried once in a lifetime.

When did you realize painting was your way to express your artistic talent?
I was always one of those creative kids. All of my birthday presents were always art supplies so maybe I was groomed to be artistic. I think I realized I had a passion for painting as a teenager when I became conscious that I was looking at someone’s face in relation to shades and values of how I would paint them. It’s like when a musician becomes obsessed with deconstructing the notes of a song and not really listening to the song for what it is.

Can you tell me something about your background?
I grew up in many small towns in the Canadian province of Ontario. I used to long for big cities (I started saving for my first apartment at the age of thirteen) but now I couldn’t imagine what I would be like if I hadn’t grown up in the sticks. My love/hate for the country has definitely informed who I am and my artistic endeavors.

How’s living in Toronto?
Toronto is an amazing city. It’s very humble and we’re pretty much all equal here. As an artist it’s a make your own fate kind of city, you really have to do the work.

In your last series of work you are focusing your attention on adolescence, why do you concentrate on this particular subject?
I had a thrilling and risky adolescence, a constant balancing act of having two personas and figuring out if there was a middle ground. Prep versus punk, victor versus train wreck. Growing up gay in the country sucks, but anger can drive motivation. As a teen I appeared quite golden, got top marks, was prom king etc, but I was also getting messed up a lot and having a lot of affairs. My new work revolves around the notion that gay adolescents in the country do date; it’s just more complicated and hidden, with a lot lying and a constant fear of getting found out.

What I enjoy most about your last series of work is the tension I perceive looking at those boys, a tension between their innocence lost and the menace that something bad or sad is going to happen. How did you stop that moment?
As an adolescent, I wasn’t out of the closet but I was having relationships with guys in remote places, like the woods or fields. These were safe places to me because they were isolated from others whose bigotry could be deadly. I always had fists in my pockets because I was always on guard. My paintings tend to have that tension; the characters are quite defensive and aware, even though their youth perceives them as vulnerable.

There are a lot of dark and gothic emotions did you take inspirations from any of your teenage anxieties?
I love the whole pretty/menace dichotomy and I think it’s the thing that unifies the various themes to my work. I don’t believe that things are 100% good or bad. I think everyone has a little darkness in them. My paintings have always had a lot of angst and my characters seem to always have something eerily suspicious about them too.

What do you remember about your years as a teenager?
Being burnt out from lying all the time, trying not to get beat up and the pressure of school. I didn’t come from wealth so getting a scholarship to go to school was my main aspiration, however I did have a lot of fun too, if one would calls drinking in ditches “fun”.

Where do you take inspirations for your figurative works? What’s the source of your creativity?
I start each series with a theme and build from that. Everything I paint is somewhat autobiographical even though I use other models. I reference a lot of history, story telling and music too. I want my works to read like chapters in a good book, there is a beginning and an end. I hate artists who do the same thing over and over. If I do one series and it’s well received, I want to do something totally different with the next exhibition. It keeps my practice exciting.

When you start a portrait do you have in mind from the very start the face you want to paint it just come out naturally?
I may start with a reference from a photo or a model but I rarely ever rely on it. I don’t like the pressure of having to make a person look too accurate. I like painting because I like to make up images; I am not setting out to reproduce what already is real. A lot of people tell me that my paintings tend to resemble me in some way, which is probably true because the face you know best is yours, or maybe I am just really lazy.

In a couple of your works it perceive the vampire’s presence like a bite on a neck or the garlic necklace, can you tell me something about it?
Those paintings are from the “Night Boys” series, which is my attempt at making “gay art”. I really hate commercial gay art; you know torsos, muscles, and the exploitation of sexuality. I just find it boring and redundant. My new work has this vampire/zombie reference in it because gay culture is so youth obsessed; I’ve met a lot of chicken hawks that wanted to suck my youth dry. When I was younger I was burnt out from lying all the time and covering my tracks, I felt really dead - that’s where the zombie idea comes from.

The titles of your works like wooden & alone, the lost & found, Lucky charm and night breaker could be even perfect for song titles too, do you listen to music when you paint?

I spend more money on music than on art supplies; it has always been my inspiration. I take little bits and pieces out of songs and weave them into my work, consciously or not. When I fall in love with a song I dream about how I would construct it visually, those images often appear in my paintings.
Right now I am listening to a lot of Girl in a Coma, Emily Haines, Melora Creager and Stevie Nicks when I get homesick (I was raised on Fleetwood Mac).

Why did you paint boys with the hoody?
The hoody is quite specific to youth culture and I like the anonymity and mystery of being cloaked. There’s something both threatening and protective about wearing a hood.

Do you remember your dreams when you wake?
Sometimes but I get more out daydreaming. I’m one of those people who appear really quiet, but really I am just mapping things out in my head.

What’s your most loved children fairytale?
I was really affected by the German tale of Hansel and Gretel; I spent a lot time as a child in the woods so I always thought I would get lost. The notion of abandoning your children in the woods is so messed up. My mom used to do that to my cats because we never had them fixed so there would be a lot kittens one day and then not so much the next. I always thought they would find their way home like Hansel and Gretel and sometimes they actually did. I can’t believe I just told that story, it sounds so bizarre, you’d think I would have major abandonment issues.

sabato 1 settembre 2007

Jack Peñate - Photography



The Presets - Photography

The Go! Team - Photography




Brian Kenny - Interview (italian/english)


Brian Kenny, è nato in Germania ora vive a New York dove è Comandante in Capo della Dangerous Wigger Crew e Co-Amministratore Delegato di SUPERM, il team artistico che ha creato nel 2005 con Slava, con cui realizza uniche installazioni multimediali. Ama i vestiti luccicanti sportivi, i calciatori e indossare il durag.

Sei nato in Germania in una base militare americana, credi che questo fatto abbia influenzato in qualche modo la tua arte?
Non ho ricordi della base militare in Germania, i primi ricordi risalgono a quando con la mia famiglia siamo tornati negli Stati Uniti. Sono cresciuto da nomade e ho vissuto in dieci stati diversi. Ho visto i tornado in Kansas, i tramonti in Messico, ho scalato il Pike’s Peak in Colorado ed ho abitato vicino alla casa di Emily Dickinson nel Massachusetts. Adesso con Slava continuo a viaggiare in giro per il mondo per le nostre mostre, credo quindi che resterò sempre un nomade. Tutto questo mi eccita molto ed influenza il mio lato artistico, per esempio da quando sono stato a Berlino per gli ultimi mondiali di calcio, sono ossessionato dal disegnare calciatori sexy in tutte le loro posizioni.

Che ricordi conservi degli anni in cui gareggiavi come ginnasta?
Ricordo di aver indossato molta “elastane”, di aver fatto un sacco di trucchi e di aver vinto medaglie grazie a questi. Alla palestra che frequentavo a Denver ero il ragazzo più alto della squadra, non il miglior ginnasta, ma dannazione stavo benissimo con quelle divise attillate.

Con Slava hai formato il team SUPERM, com’è nata l’idea?
SUPERM è il nome del nostro collettivo artistico multimediale che è nato quando ci siamo conosciuti due anni e mezzo fa. 24 ore dal nostro primo incontro abbiamo girato un video e da quel momento non abbiamo più smesso di collaborare. Adesso lavoriamo insieme su tutto: disegni, fotografie, video e sculture. Collaboriamo inoltre con una rete mutevole d’artisti. Abbiamo fatto mostre a New York, Los Angeles, Mosca, Spagna, Oslo, Berlino, Stoccolma e stiamo preparando altre mostre a Londra, Bergen ed Amsterdam. SUPERM è la rivoluzione.

Ti definisce un Wigger, cosa significa per te?
Un Wigger è un ragazzo bianco che è fortemente influenzato dalla cultura nera hip-hop. I Wiggers sono molto comuni nella cultura americana perché l’hip-hop è il mainstream “cool”, com’era stato il rock ‘n’ roll. E poiché le radici dell’ hip-hop sono nere ci sono tanti ragazzi e ragazze bianchi che abbracciano questa cultura “nera” nella musica, nel modo di vestire e nel manierismo. Il termine “Wigger” è un’espressione difettosa tra “white” e “ nigger”, è qualcosa presentato con significato negativo come se i Wiggers si comportassero da neri pur non essendolo. Sono un Wigger orgoglioso, sono una nuova e valida identità culturale per ragazzi fighi.

Quando hai iniziato a disegnare?
Ho sempre disegnato. Ho trascorso la maggior parte dei miei giorni a scuola a fare ghirigori in classe. Era l’unico modo che conoscevo per non addormentarmi. Mi piace disegnare perché puoi creare con la sola mano una nuova immagine che non è mai esistita o dare informazioni visive in un modo che la fotografia o la scrittura non possono esprimere. Per esempio io disegno sempre scene di sesso, Wiggers che scopano come conigli, spesso perché non riesco a trovarli su internet.

Quanto dei tuoi lavori sono personali e quanto invece sono l’espressione di una vita urbana?
Tutto il mio lavoro è personale. La miglior storia che tu puoi raccontare è la propria, così io disegno sempre quello che sto pensando, o cose che vorrei vedere, come ragazzi sexy con i toys, Wigger selvaggi, e giocatori di calcio senza calzoncini. Ma poiché vivo una vita urbana i miei disegni la rispecchiano sempre.

Come consideri la tua arte? Street art? Bad-boy art? O forse preferisci non etichettarla?
SUPERM è la mia bad boy street art.

Alcuni dei pezzi che preferisco del tuo lavoro sono le SUPERM target series come ti è venuta in mente l’idea di disegnare proprio su quel tipo di supporto?
A New York la presenza della polizia si sente fortemente e ogni giorno ai notiziari senti parlare del NYPD che ha sparato ad un innocente disarmato. Inoltre la maggior parte della polizia a New York è grassa e di animo vile. Così mi piace disegnare su questi bersagli vintage d’addestramento che usava la polizia, come mio modo per sparargli indietro. Sono ossessionato dalla vita degli assassini, dall’hip-hop e dalla street art così questi SUPERM targets sono il miglior supporto artistico per il mio desiderio di fare dei graffiti su un’immagine già esistente, giustificare il mio assassino, disegnare la mia pistola e sparare.

Cosa cerchi di raggiungere attraverso i tuoi disegni? Onestà? Realtà?
Non vi è ideologia, né disegno per informare altri e neppure spero di ottenere qualcosa. Disegno semplicemente cose che ho nella testa, una sorta di diario. A volte quando sono di pessimo umore mi accorgo di disegnare qualcosa di cattivo, sciatto, scrivo bestemmie e strappo la carta. Altre volte quando mi sento vuoto continuo a disegnare la stessa immagine finché non mi viene un’idea migliore. Non cerco di dirigere me stesso o di pensare a come sarà il risultato, di solito in questo modo ho creato i miei lavori migliori.

A cosa stai lavorando ultimamente?
Io e Slava siamo dei collezionisti maniacali da anni, abbiamo conservato pile di strani titoli di quotidiani, foto di riviste, flyer, qualsiasi cosa e finalmente ora li abbiamo messi insieme in una serie di collage su pannelli di tela. Li presenteremo in una grande installazione questa estate a Londra e in autunno in Norvegia.

Che cosa stai ancora cercando?
Matrioske esplosive, una coppia di Pit Bull, più ragazzi in pericolo, Ghetto Blasters, stivali, sneakers e un viaggio in India.

Hai detto che ti piace indossare abbigliamento sportivo, quale preferisci?
I ragazzi in uniforme, soprattutto quelle sportive mi hanno sempre eccitato. Mi piacciono ruvide e pesanti, morbide e lucenti, ma eccessivamente XXX-large.

In uno dei tuoi video mostri come s’indossa un durag. Che significato ha per te indossarlo?
Il durag è il mio casco sexy e sportivo, è la corona lucente che indosso come Comandante in Capo della Dangerous Wigger Crew.


ENGLISH

Brian Kenny was born in Germany and now lives in New York where he’s the Commander in Chief of the Dangerous Wigger Crew and Co-CEO of SUPERM the artistic team who has created in 2005 with Slava to create unique multimedia installations. He likes wearing silky sporty clothes, soccer players and wearing a durag.

You were born in an American military base in Germany. Do you think this has influenced your art somehow?
I don’t remember my time on the American military base in Germany since my family moved back to US while I was still a baby, but I grew up a nomad, living in 10 different states across the country. I’ve seen tornadoes in Kansas, sunsets in New Mexico, climbed Pike’s Peak in Colorado and lived near Emily Dickinson’s home in Massachusetts. Now, Slava and I are always traveling internationally for different art shows so I imagine I’ll always remain abroad. Naturally, this makes me very horny and influences everything I am and produce in art. For example, ever since being in Berlin during last year’s World Cup, I’ve been obsessed with drawing sexy soccer players in all their positions.

What do you remember about your years of competitive gymnastics?
I remember wearing a lot of spandex, doing a of lot of tricks and sometimes winning a medal for it. At the club I belonged to in Denver, I was the tallest boy on the team, not the best gymnast, but damn I looked good in those spandex uniforms!


You are a multi-talented person, you deal with many different projects, with your boyfriend Slava you have created the team named SUPERM can you tell me something about it? How did it start?
SUPERM is name of our multi-media art collective born the day Slava and I first met two and half years ago. Within 24 hours of our first meeting, we made a video together and we haven’t stopped collaborating since. Now we work together on everything from drawings and photography to video and sculpture. We also collaborate with a shifting network of other artists. So far, we’ve done SUPERM shows in New York, Los Angeles, Moscow, Spain, Oslo, Berlin, Stockholm and there’s more to come with upcoming shows in London, Bergen (Norway), Amsterdam and again in New York. The revolution will be SUPERM.

You define yourself a Wigger, what does it means for you?
A Wigger is white kid who’s influenced by predominantly black hip hop culture. Wiggers are common in the US because hip hop is the mainstream “cool”, like rock ‘n roll used to be. Since Hip Hop’s roots are black, you’ll find lots of white boys and girls embracing this “black” culture in music, dress style and mannerisms. The term ‘Wigger’, a slurring of ‘white’ and ‘nigger’, is sometimes presented in a negative way, as if Wiggers are just ‘acting black’, and are racially confused. But I am a proud Wigger, a new and valid cultural identity for cool kids.

How did you get into drawings?
I have always been into drawing. I spent most of my school days doodling through class. It was the only way I could stay awake!! I also enjoy drawing so much because you can create by hand a new image that never existed or present information visually in way that photos or writing cannot express. For example, I’m always drawing sex pictures, Wiggers fucking like bunnies, often because I can’t find it on the internet!

How much of your work is personal and how much is commentary of an urban life?
All of my work is personal. The best story you can tell anyone else is your own so I always draw what I’m thinking of, or things I want to see, like sexy boys with toys, wild Wigger animals, and soccer players with no shorts! But since I live the ‘urban life’, my drawings will often reflect this.

How would you consider your art, street art? Bad-boy art? Or you rather prefer not to name it?
My bad boy street art is SUPERM.

Some of my favorite pieces of your work are the SUPERM target series how did you come up with the idea to draw on that particular kind of pictures?
Well, New York has such a heavy police presence and everyday on the news, you hear about the NYPD shooting innocent unarmed people all the time. And the majority of New York cops are so fat and mean-spirited! And so I like drawing on these vintage police shooting targets as my way of firing back on them. In addition, I’m also obsessed with thug life, hip hop and street art and so the SUPERM targets are the best artistic outlet for my desire to graffiti an existing image, justify my thug, draw my own gun and fire!

What are you trying to get across with your drawings. Honesty? Realness?
There is no ideology, nor do I draw to inform others or even hope to get something across. I just draw things that are in my head right now, like a personal journal. Sometimes I’m in a really bad mood and so I’ll make an angry, sloppy drawing and write curses and tear the paper. Other times I’m feeling blank and I’ll draw the same image over and over and over until I get a better idea. I try not to edit myself or think about how it will turn out, and that’s usually when I make my best work.


What are you working on now?
Both Slava and I are maniacal collectors and over the years, we’ve saved piles of strange newspaper headlines, magazine photographs, cool flyers, whatever, and now we are finally putting them together into a new series of collages on canvas panels. We’re going to show them as a large installation at a gallery in London this summer, and then in Norway this fall.

What are you still looking for?
Explosive matrioschkas, a pair of Pit bulls, more boys in danger, Ghetto Blasters, boot & sneaker camps and a trip to India.

You say that you like to wear silky sport clothes. can you tell me something about your style?
Guys in uniforms, especially sport uniforms, have always turned me on. I like it rough and tough, silky and shiny, XXX-large and out of control.

In one of your videos you show how to wear a durag do you use it often? Does it have any particular meaning for you to wear it?
The durag is my sexy sport helmet, the silky crown I wear as CEO of the Dangerous Wigger Crew.

lunedì 20 agosto 2007

lunedì 16 luglio 2007