domenica 14 dicembre 2008
lunedì 1 dicembre 2008
giovedì 6 novembre 2008
Ryan Pfluger - Interview
Ryan Pfluger nato nel 1984, è un giovane fotografo americano che vive a Brooklyn, nei suoi lavori, sia quelli artistici che quelli commissionati dalle riviste, focalizza la sua attenzione sui ritratti di giovani ragazzi. Il leitmotif di Ryan sono i rapporti interpersonali; famigliari, d’amicizia e di sesso. Le sue fotografie sono il mezzo con cui riesce ad allacciare rapporti con questi soggetti, che altrimenti rimarrebbero incompiuti per la sua timidezza trasformandoli in qualcosa d’intimamente reale e tangibile.
Ti ricordi quando hai comprato la tua prima macchina fotografica ed hai iniziato a fare foto?
Ricordo di averla comprata quando ero matricola all’università, quell’anno sarei andato in Australia per sei settimane e volevo una macchina fotografica con me. Sono diventato più serio e determinato verso la fotografia circa un anno dopo.
Quindi è stato in quell’anno in cui ti sei accorto che la fotografia sarebbe diventata il tuo mezzo d’espressione?
Sto ancora scoprendo il modo di esprimere me stesso, è un processo continuativo, ho capito che la fotografia è diventata il mio sfogo costante nell’affrontare rapporti e tematiche molto importanti per me.
Uno dei tuoi progetti si chiama “Not Without My Father”, da dove è nata questa idea e com’è il rapporto con tuo padre?
Il progetto è nato da un commento che mi ha fatto Collier Schoor, che era uno dei miei professori di laurea. Mi disse, che il mio lavoro era troppo sicuro e che avrei dovuto fotografare un soggetto che sentissi scomodo. Non avevo un buon rapporto con mio padre, quindi quel progetto è stato per me il modo per coltivare un rapporto con lui.
Mi piace il modo in cui fotografi i giovani, perchè sembrano persone che frequenti. Sei in grado di immortalarli nei loro momenti più intimi, portando chi osserva le tue foto a voler sapere più di loro.
Questo accade perchè questi ragazzi sono quelli che frequento nella vita di tutti i giorni e le mie fotografie sono il mio modo di superare il mio essere socialmente impacciato. Rappresentano, infatti, il mio legame con queste persone a cui altrimenti non riuscirei a relazionarmi, invece fotografandole ci viene offerto qualcosa in comune, che è solo tra noi.
Ma come fai a renderti conto quando è l’istante giusto per scattare e fermare questo momento d’intimità?
Credo che l’essere completamente tranquillo quando fotografo, mi aiuti ad essere completamente conscio del momento in cui scattare, do solo alcune piccole direzioni a chi posa per me. Le mie fotografie sono la rappresentazione dell’esperienza che queste persone provano nel trovarsi da sole con me e con la mia macchina fotografica.
È per questo che alcuni pensano che tu abbia un rapporto sessuale con le persone che fotografi...
E ciò non mi da alcun fastidio, ciò non significa che io non abbia avuto dei rapporti, prima o dopo, con alcune persone che ho fotografato. Col fatto che ho fotografato molte persone è naturale per me che con alcune di loro ci sia andato a letto, anche se non con la maggioranza di loro, e a dire il vero in seguito non è che ci sia poi questa grande interazione.
Hai fatto anche molti editoriali di moda, come artista hai mai sentito dei limiti nel momento in cui scattavi questi servizi, oppure non te ne importava ed hai sempre fatto come ti piaceva?
Ho scattato quei redazionali perchè è ciò che mi piace fare; fotografare. Che sia per una rivista, per una mostra in una galleria o per me stesso, non mi pongo mai dei limiti. Voglio solo che la gente veda ciò che faccio. Mi rendo anche conto che molte persone non vanno a vedere le mostre, ma sfogliano una rivista e o visitano siti web. Per me ciò che conta è fotografare e mostrare ad altri i miei lavori.
Sarebbe bello poter vedere le tue foto in un libro, quando pensi saremo in grado di acquistarne uno?
Probabilmente a febbraio, è in lavorazione un libro d’arte in edizione limitata, e spero anche di riuscire a pubblicare un lavoro monografico l’anno prossimo.
Abiti a Brooklyn, cos’è che ti piace di più nel vivere in quella zona di New York?
Sono cresciuto qui e sarà sempre per me il posto che io chiamo casa. È questa la cosa che mi piace di più di Brooklyn il fatto che mi fa sentire a casa. Inoltre adoro l’enorme quantità di persone che vivono a New York e continuo ad incontrare e vedere volti che voglio fotografare.
A cosa stai lavorando al momento?
Sto lavorando ad un nuovo progetto fotografando photo editor, curatori e commercianti di New York. Il progetto si chiama Edited e verrà esposto a marzo nella mia galleria. Riguarda il cambio di ruoli con coloro che prendono le decisioni nella fotografia contemporanea, mettendoli sotto il microscopio e facendogli rinunciare al loro controllo e mostrando così anche un lato più intimo delle loro vite.
Cosa fai quando non fotografi?
Guardo molta televisione e film, sono ossessionato dalla cultura popolare, mi piace un sacco anche stare all’aperto e viaggiare, cerco di lasciare New York ogni tre o quattro mesi per liberare la mente, valutare i miei lavori e divertirmi nell’essere vivo.
Dove trovi l’ispirazione per i tuoi lavori?
Onestamente le persone in generale m’ispirano. È per questo motivo che faccio maggiormente ritratti. Ci sono anche un sacco di fotografi contemporanei ed artisti con cui ho dei legami e che mi spingono a voler continuare come fotografo. Anche viaggiare in posti diversi incontrando nuove persone che mi danno nuovi input su ciò che sto facendo sono fonte d’ispirazione per me.
Mi divertono i tatuaggi che hai sul corpo, quando hai iniziato a farli? Ne hai uno che ha un significato particolare per te?
Amo moltissimo il corpo e mettere il proprio marchio su ciò che naturalmente ti è stato dato m’interessa davvero. Tutti i miei tatuaggi hanno una loro storia o scherzo a riguardo. I due che ho sul petto sono un omaggio ai miei due film preferiti Squola di Mostri e Mullholand Drive.
C’è una persona per cui moriresti pur di fotografarla?
Oddio troppi! Anche se al top della lista ci sono Mila Jovovich e Cecile de France.
giovedì 18 settembre 2008
Richard Orjis - Interview (italian/english)
Richard Orjis è un artista neozelandese, che ama la natura per la bellezza del suo lato oscuro. Le sue fotografie sono ricche di sensazioni contrastanti: bellezza, lussuria, malinconia e paura. Ama il lato gotico che si cela tra le cose e tra la natura. Un suo desiderio? Fotografare il corpo di Yves Saint Laurent.
So che sei di Auckland, abiti ancora lì? Com’è crescere in Nuova Zelanda?
Amo la Nuova Zelanda, ho vissuto oltre mare, ma c’è qualcosa riguardo a questa terra ed alla gente che mi trattiene qui. Credo che sia scontato per me vivere qui e in nessun altro posto al mondo. Quando ero bambino non avevo nulla con cui fare un paragone, ma guardando in dietro mi accorgo che la vita d’ogni bambino è spesso isolata, quindi crescer qui non credo abbia fatto una gran differenza che crescere in qualsiasi altra parte del mondo. Sono sicuro che la natura e la sensazione di essere separato dall’Europa abbia avuto un certo effetto su di me. Culturalmente la mia educazione romano-cattolica ha avuto più impatto sulla mia persona più di qualsiasi altra cosa. Mio padre è un architetto che progetta chiese e scuole, siamo cresciuti andando alla scuola cattolica ed andando a messa ogni domenica. Continuo ad amare tutta la cultura che gira intorno a questa educazione; è così altamente visiva e la bellezza e la violenza sono mescolate insieme, con tutti quei santi e le loro morti macabre. Ho visitato il Vaticano qualche anno fa, era tutto così eccessivo e pacchiano, l’ho adorato. Il mio lavoro ha assorbito tutto questo, i rituali, le icone e le idee di attrazione e repulsione.
Quando ti sei accorto di amare la fotografia?
Da teenager ero ossessionato dalle riviste. Vivevo per i miei abbonamenti mensili a testate inglesi quali The Face e I-D. Mi piacevano come gli editoriali di moda sembrassero still di film ambientati in esotiche location, in cui i modelli indossano oltraggiosi costumi in una narrazione bizzarra e sconnessa.
Hai lavorato per un breve periodo con Davi La Chapelle, cosa credi di aver imparato da quest’esperienza?
Mi sono trasferito a New York all’età di vent’anni ed ho iniziato a lavorare allo Studio. Era un’estate calda e ogni cosa mi sembrava nuova ed eccitante, ero ingenuo e pensavo di avere il miglior lavoro del mondo anche se in realtà non facevo altro che portare a spasso il cane e portare stampe in giro per la città tutto il giorno. Rispetto molto David è molto vero circa le sue visioni. Un giorno si è davvero arrabbiato con un direttore creativo, che cercava di dirgli cosa doveva fare. Ammiro molto la sua determinazione e il suo credere in se stesso che lo porta a fare lavori meravigliosi. Rize è uno dei miei film preferiti in assoluto.
Le persone e la natura sembrano avere un impatto molto forte sulla tua fotografia, che cosa trovi interessante in questi temi?
Il fango, i fiori, il carbone sono direttamente collegati con la natura e il mio lavoro esplora il rapporto tra la natura e la cultura. La natura può essere vista come bellezza e purezza intrinsicamente buona, ma anche come pericolosa e distruttiva, uno spettacolo di divoratori e divorati. Questo teso rapporto d’attrazione e repulsione nutre il mio lavoro: esploro nozioni di bellezza corrette con una sfumatura di bruttezza e vice versa. La società può essere vista come un meccanismo di difesa, costruita per proteggerci dalla natura, un modo per noi per sopravvivere ed evolvere. Il passaggio verso la cultura e la civilizzazione può essere visto come una regolare evoluzione che si allontana da ciò che è natura. I culti che creo sono una reazione contro la società, pregnanti d’elementi naturali in modo olistico, laddove arte e scienza si sforzano di controllare e riordinare la natura. L’invecchiamento, la morte, la sessualità, la violenza e la malattia sono tutti esempi di ciò che l’umanità ha cercato di controllare e che non c’è mai totalmente riuscita. Il fango inoltre tiene in sé questo concetto gotico romantico di decadimento e di ringiovanimento, con fantastiche connotazioni come l’idea di polvere alla polvere. Sono affascinato dai culti perchè sono i leganti tra noi e la natura, la natura è il punto d’origine d’ogni religione. La vita umana in origine era ostile e pericolosa; la religione è venuta in seguito con i suoi rituali e le persone hanno creato incantesimi per interrompere gli elementi punitivi. La forza della natura era lo sfondo in cui si è formata l’idea di Dio dei nostri antenati. Anche se la cultura occidentale è diventata più laica, non abbiamo mai smesso definitivamente di pregare per le cose; guarda l’ascesa in popolarità dei movimenti New Age. Un altro aspetto del culto che cerco di investigare nei miei lavori riguarda il desiderio di comunità e di relazione. Gli umani sono animali sociali che hanno avuto una tradizione tribale. Con un’espansione individuale dovuta alle differenti strutture delle famiglie e delle nuove tecnologie, come internet, la nostra esistenza è diventata più insulare. Noi possiamo comunicare, fare compere, lavorare e divertirci direttamente da casa nostra. Questo ha portato un desiderio di comunità che non è diverso da quel desiderio pastorale dell’Europa post-industriale.
Osservando le tue fotografie, percepisco una sensazione gotica di bellezza e pericolo allo stesso tempo, come quella che si può provare quando si cammina in una campagna tranquilla e bella, ma una sensazione di allerta come se qualcosa di brutto sta per accadere ti assale, era questa la tua intenzione?
Sono molto interessato al concetto di buio, credo che abbia a che fare con il fatto che da piccolo ero sempre terrorizzato la notte, volevo vivere in una stanza senza finestre, perchè la mia immaginazione viaggiava su ciò che sarebbe potuto entrarvi attraverso mentre dormivo. Le cose sono nascoste nell’oscurità, c’è sempre un’ambiguità a riguardo; non riesci mai a vedere le cose chiaramente, come quando le persone reprimono le loro emozioni. La sensibilità gotica esplora il lato dark che si cela sotto le cose, cerca di raggiungere il sublime attraverso la bellezza dark, la malinconia, la lussuria, la morte, la paura e la violenza. Mi piace unire elementi della cultura contemporanea con la storia. Il gotico è presente nell’heavy metal, nei video giochi, nei film horror e di fantascienza.
Quindi queste emozioni di bellezza dark e malinconica lussuria che rappresenti nelle foto avvengono naturalmente?
Lavoro d’istinto, non esco dal mio modo d’essere per rendere le cose dark o malinconiche, cerco solo di rappresentare ciò che mi attrae e ciò che credo sia bello.
Quanto tempo impieghi a realizzare una tua foto?
Dipende, con i ritratti solitamente impiego un giorno per scattare una persona e poi un altro giorno a cercare altre immagini da collocare con lei, come fotografare boccioli di fiore in una casa calda o candele nel mio studio. Poi trascorro del tempo al computer mettendo i pezzi insieme. Il mio processo è come quello che immagino ha un pittore per i suoi lavori: ricercare, rielaborare e controllare tutto.
Ci sono dei vestiti di qualche stilista che ti piacerebbe utilizzare nel tuo prossimo progetto?
Mi piace Mr.Alexander McQueen.
Hai collaborato con Anthony Goicolea, dove vi siete conosciuti? Com’è stato lavorare insieme?
Ci siamo conosciuti all’infame Cock Bar a New York. Siamo stati insieme per cinque anni ed abbiamo collaborato a diversi progetti. Credo sia difficile lavorare con un altro artista e credo sia altrettanto difficile lavorare con il proprio partner, ma ogni processo creativo è una lotta e alla fine mi piace molto il lavoro che abbiamo fatto e creato insieme. Abbiamo fatto progetti per riviste che alla poi sono finiti come mostre in varie gallerie.
A cosa stai lavorando al momento?
Sto lavorando ad una serie di fotografie; ho creato una mitologia inventata di minatori che scavano alla ricerca di carbone per riscaldare e rendere vivibili le loro serre di orchidee. Ho lavorato a queste immagini per tutto l’anno. Questa storia si è sviluppata nella mia mente e sottolinea che per me niente è bianco o nero e spesso la bellezza ha un costo.
Qual’è la persona che moriresti pur di fotografare?
Il cadavere di Yves Saint Laurent.
Qual’è la tua fonte inesauribile d’ispirazione?
Il mio processo creativo è come un setaccio, prendo tutto ciò che non ho mai visto e fatto e poi il mio cervello riordina e collega tutto in un nuovo modo ed è probabilmente in quel momento che si trasforma in un mio lavoro.
Qual’è la cosa che preferisci nell’essere un artista?
Credo che la cosa che preferisco nell’essere un artista sia il poter fare esattamente ciò che mi piace più di qualsiasi altra professione.
Se ti proponessero di scattare la cover e il booklet di un gruppo chi ti piacerebbe fosse e perchè?
Antony and the Johnsons, perchè mi fanno venir voglia di piangere.
ENGLISH
I know you are from Auckland, New Zealand, do you still live there? How was growing up there?
I love New Zealand; I’ve lived overseas but something about the land and people keeps me here. I really believe I’ve been hardwired to live here and nowhere else. When I was a child I had nothing to compare it to; but looking back children’s lives are often isolated, so growing up here may not have been that different from anywhere else. I’m sure all the nature and the feeling of being separated from Europe has had an effect of me though. Culturally, my Roman Catholic upbringing had more impact than anything else. My father is an architect that designs churches and schools and we always went to Catholic schools and Mass on Sundays. I still love the whole culture of it; is so highly visual, and beauty and violence are mixed together so often, with all the saints and their gruesome deaths. I visited the Vatican a few years ago and it was so over the top and camp, I loved it. My work has absorbed all of this, the rituals and icons, and ideas of attraction and repulsion.
When did you realize you love photography?
I was obsessed with magazines as a teenager. I would live for my monthly subscriptions of British magazines like The Face and I.D, I loved how the fashion editorials were like still movies, set in exotic locations and wearing outrageous costumes in a bizarre and disjointed narrative.
You have been working for a while with David La Chapelle, what have you learnt from that experience?
I moved to New York when I was twenty and started working at the Studio. It was a hot New York summer and everything seemed so exciting and new, I was wide eyed and thought I had the greatest job in the world, in reality I was just walking the dog and dropping off prints around town all day. I have a lot of respect for David, he’s really true to his vision. I remember him getting really angry with this one creative director who had tried to tell him what to do. I admire his self-belief and determination, and he’s gone on to do such amazing things, Rize is one of my all time favourite films.
People and nature seem to have a huge impact on your photographs, what do you find interesting in them?
Mud, Flowers and Coal are direct link with nature, and my work explores the relationship between nature and culture. Nature can be seen as beautiful and pure, and intrinsically good, but also as dangerous and destructive, a spectacle of the devourers and the devoured. This tense relationship of attraction and repulsion feeds into my practice: I explore notions of beauty laced with an undercurrent of ugliness, or vice versa. Society can be seen as a defence mechanism, constructed to protect us from nature, a way for us to survive and evolve.
The movement towards culture and civilization can be seen as a steady progression away from nature.The cults I create are reactions against society; they are into worshipping nature in holistic way, whereas art and science strive to control and reorder nature. Aging, death, sexuality, violence and disease are all examples of what humanity have tried to control and never quite achieves.Mud also holds this romantic gothic notion of decay and rejuvenation, and fantastic connotations like the idea of dust to dust. I’m fascinated by cults because they link with us with nature; nature was the starting point for all religions. Early human life was hostile and dangerous; religion came from the rituals and people created spells to lull the punishing elements. Nature’s power was the backdrop on which our ancestor’s ideas of god were formed. Even though western culture has become more secular, we never really give up on worshipping things: just look at the rise in popularity of celebrity culture and the New Age Movement. Another aspect of the cult, which I investigate in my work, is the desire for community and connection. Humans are social animals that have traditionally been tribal. With an expanding individuality, because of different family structures and new technologies, like the Internet, our existence has become more and more insular. We can communicate, shop, do business and entertain ourselves, all from home. This has led to a desire for community that is not unlike the pastoral yearning of post-industrial Europe.
Looking at your photographs I have a sense of gothic emotion of beauty and danger at the same time, like when you are walking in a peaceful and beautiful land but you have the feeling that something ugly is going to happen, was this your intention?
I’m really interested in the concept of darkness, I think it probably has do to with he fact I use to be terrified of night time when I was a child, I wanted to live in a room without windows, because my imagination would run wild with what was going to come through them while I was sleeping. Darkness is so much more interesting; things are hidden in the dark, and there's always an ambiguity about it; you never really get the full picture. My work has been described as gothic. Just as society sanitizes nature, human emotions are repressed as well. The gothic sensibility explores the dark underbelly, seeking to access the sublime through dark beauty, melancholy, lust, death, fear and violence. I like linking contemporary culture with history; the gothic is present in heavy metal, video games, horror and science fiction films.
There's a sense of dark beauty and melancholic lust in the images you shoot how do you reach this level?
I work intuitively, and I don’t consciously go out of my way to make things dark and melancholic, it’s just what I’m attracted to and what I think is beautiful.
How long does it take you to realize one of the images you have in mind?
It really depends with every image, with my portraits I normally shoot the person one day and then spending another day sourcing other images to place with then, like photographing blooms in a hot house or candles in my studio. Then I spend time on the computer piecing them together. My process is like I image a painter might work, sourcing and reworking and controlling everything.
Which designer’s clothes you would like to use for one of your next project?
I like Mr. Alexander McQueen.
You made a collaboration with Anthony Goicolea, where did you meet him and how was working together?
We meet at the infamous Cock Bar in New York. We were together for five years and we collaborated on several projects. I think its hard working with another artist and its hard working with your partner, but any creative process is a struggle and I really like the work we did end up creating. We created projects for magazine that we ended up exhibiting in galleries.
What are you working on at the moment?
I’ve been working on a new series of photographs; I’ve been creating a fictional mythology of coal miners, who dig for coal to keep their glass houses of exotic orchids warm and living. I’ve been working on these images for most of this year and this narrative is developing in my head, It high light for me that nothing is black and white with anything, and often beauty comes at a cost.
Who's the person you would die for to shoot in one of your photographs?
The corpse of Yves Saint Laurent.
Where do you get the never-ending inspiration for your works?
My creative processes is like a sieve, I take everything that I’ve ever seen and done, and my brain reorders and connects it in a new way, and that eventually becomes my work.
What's the best part of being an artist?
The best part of being an artist is being able doing exactly what you want more than any other profession.
If you have been asked to shoot an album cover and a booklet of music band whom would you like to be and why?
Antony and the Johnsons, because it makes me want to cry.
martedì 5 agosto 2008
Mark Rubenstein - Interview
Le immagini dell’ artista americano Mark Rubenstein traslano l’energia e la determinazione giovanile in un consapevole cambiamento d’indipendenza mentale. Con le sue fotografie racconta il suo punto di vista sul mondo e sulle trasformazioni fisiche e mentali di una persona nel tempo. Il giovane Mark non ama definirsi fotografo e scatta solo qualche foto l’anno, preferisce vedersi come un artista che usa la fotografia come solo mezzo per esprimere immagini che occupano la sua mente, rivelando emozioni giovanili quali paura, paranoia, bisogno d’amore e accettazione, ma soprattutto un’infinita voglia di libertà.
Mi racconti qualcosa del tuo background?
Ho un background umile. Sono cresciuto a Louisville in Kentucky. Al tempo della Highschool ero terribile e quasi non mi hanno promosso. Sono sempre stato eccellente in arte. Al primo anno ho scoperto che la mia scuola offriva un programma di fotografia, così m’iscrissi e me ne innamorai, mi cambiò la vita e da quel momento non ho più smesso di fare fotografie. Se ripenso adesso a quel periodo mi rendo conto che ho trascorso dei giorni fantastici.
Qual’è il ricordo preferito di quando vivevi a Louisville?
Fammici pensare...il mio ricordo preferito, beh ne ho molti in verità, ho trascorso dei momenti fantastici quando ero più giovane ed andavo a fare campeggio con i miei più cari amici. C’inoltravamo nel profondo delle foreste del Kentucky e addormentandoci ai piedi delle cascate, era tutto semplicemente bello, stare con i miei amici a raccontarci storie la notte guardando le stelle.
Ed ora che vivi a Brooklyn qual’è la cosa che trovi più eccitante?
Brooklyn è un posto fantastico. Non vorrei più vivere a Manhattan come ho fatto in passato. Non abito dove si trova la maggior parte dei giovani, ma in un quartiere per famiglie ed è fantastico perchè è molto tranquillo, inoltre è a pochi minuti di bicicletta dal più bel parco di New York, ci vado quasi tutti i giorni. Adoro Brooklyn perchè qui posso sentire gli uccelli cinguettare e puoi veramente sentirti parte della tua comunità.
Tornando alla fotografia è dai tempi della Highschool quindi che hai deciso di usare questo supporto come mezzo per esprimere te stesso?
Sì credo proprio di averlo capito dal primo corso di fotografia che ho fatto, anche se non mi considererei un vero fotografo. Non possiedo una macchina fotografica mia e non scatto più di qualche immagine all’anno, credo di essere più un artista, uso solo la macchina fotografica come mezzo.
La tua prima serie d’immagini “ Common Place” riguardava la l’evoluzione personale di un individuo, puoi dirmi come hai sviluppato questa tematica?
L’intero corpo del mio lavoro si basa su quest’idea. Non solo Common Place. Il mio lavoro è un’esplorazione della vita, il crescere e di come cambiamo costantemente. Questo tema è nato perchè è così che vedo il mondo, guardo indietro alle cose passate con una vena nostalgica e in questo modo poi ne vedo il futuro. Le immagini scaturiscono mentre cerco di visualizzare le emozioni che provo.
Mi piace molto la tua nuova serie d’immagini in cui immortali ragazzi avvolti da un’atmosfera onirica, mi racconti qualcosa di questo nuovo lavoro?
E’ sempre un’evoluzione dell’universo Common Place, il mio lavoro si potrebbe vedere come un lungo libro o un film. Ci sono molti capitoli che ne fanno parte, l’ultimo è per l’appunto “Once Was” dove i personaggi della serie iniziano a trasformarsi in un altro essere, è come se stessero viaggiando nel tempo percependo tutto ciò che è il mondo attraverso se stessi. Mentre sono completamente trasportati dall’energia.
Per questo motivo hai deciso di usare così tanta luce?
La luce rappresenta questa sensazione d’energia travolgente, l’ho usata per mostrare la trasformazione e l’illuminismo.
Da dove prendi ispirazione per i tuoi lavori?
La mia ispirazione principalmente viene dalla mia vita, dalle esperienze che faccio e di come ogni giorno porti sempre qualcosa d’interessante.
Dove trovi i modelli per le tue immagini?
Tutti i modelli che utilizzo nelle mie fotografie sono miei grandi amici.
Quando devi fare l’editing delle tue immagini quando capisci di aver scelto la foto perfetta?
L’editing per me è molto importante, sono molto specifico in ciò che scelgo di usare. Di solito ho in mente l’esatta immagine che voglio usare e quando guardo tutte le foto scelgo quella che rappresenta maggiormente ciò che ho in testa.
Se dovessi scegliere una canzone che rappresenti “Once Was” quale sceglieresti?
The Rising Tide dei Sunny Day Real Estate.
A cosa stai lavorando ultimamente?
In questo momento sto lavorando ad uno nuovo concetto. Il prossimo lavoro che vedrai sarà un grande salto, credo davvero che sarà fantastico.
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