sabato 25 giugno 2011
Alex Prager - Interview
Alex si è avvicinata alla fotografia a ventenne e da quel momento che non l’ha più abbandonata. Il suo spirito indipendente l’ha portata ad imparare quest’arte da sola. Ricordo che la prima volta che ho visto una sua fotografia, sono stato trasportato in quel mondo dai colori forti e disitnti tipici della Los Angeles degli anni 60. Le donne, come Eve, Emily, Crystal, Lois, Rita e tante altre sono le protagoniste delle foto di Alex, sono impeccabili, anche se dietro i loro rossetti rossi o le loro parrucche, nascondono drammi e malinconie tipiche delle donne hitchcockiane,con un continuo richiamo tra l’apparenza e la realtà, come se il suo intento fosse quello di documentare un mondo che esiste e che non esiste allo stesso tempo, dove dietro il glamour può celarsi anche il melodramma.
Potresti raccontarmi qualcosa del tuo background? Ho sentito dire che hai viaggiato tantissimo nella tua infanzia...
Sono nata a Los Feliz in California. Non sono andata ne alla high school ne in una scuola d’arte. Ho trascorso il miei anni da teenager viaggiando tra l’Europa, la Florida e Los Angeles.
Sei quindi una fotografa che ha imparato da sola, quando è inizato il tuo approccio alla fotografia?
Dopo essere tornata a Los Angeles dopo aver viaggiato per l’Europa, non sapevo cosa avrei voluto fare professionalmente. Dovevo mantenermi, così ho iniziato con diversi lavori alcuni dei quali terribili. Ero entrata nel così detto giro di lavoro da ufficio e spendevo i miei soldi per il cibo, i vestiti, i viaggi e i CD e poi dovevo vendere i miei vestiti e i miei CD per pagarmi l’affitto. Niente mi emozionava particolarmente così cominciai a pensare che forse quello che stavo vivendo poteva essere la vita che avrei potuto vivere da adulta così decisi di fare in modo di cambiare qualcosa. Cominciai così ad andare nei musei e nelle gallerie d’arte per vedere se c’era qualcosa che fossi in grado di fare in quel campo, perchè sapevo che dovevo fare qualcosa di creativo. Finii al Getty museum e per caso vidi l’esposizione di William Eggleston, non avevo nemmeno preso in considerazione la fotografia fino a quel momento. Vidi una fotografia quando entrai nella stanza e capì in quel momento che ciò che avrei fatto sarebbe stata la fotografa. È stato istintivo. Comprai una macchina fotografica il giorno successivo e l’attrezzatura per la camera oscura tre giorni dopo.
Quanto tempo impieghi a pensare a che foto vuoi scattare? Quando fotografi l’immagine è diversa da quella che avevi in mente o è quasi simile a quella ti eri immaginata?
Non è mai come me l’ero immaginata, ma suppongo che è questo che rende fotografare interessante. Solitamente spendo circa una settimana nel processo di preproduzione, considerando tutti quei piccoli dettagli che faranno parte dell’immagine e poi faccio il servizio. Quello che viene dopo è il panico ovvero quando guardo i miei negativi e che forse potrebbe non esserci nulla che posso utilizzare, ed ore ed ore a far fronte e a tentare fino a quando non mi accorgo di avere davanti qualcosa che amo. Questo è generalmente il processo generale di ciascun mio servizio fotografico. Indosso il cappello da fotografo nella prima parte, e poi quello da pittore nella seconda parte. È alquanto esasperante.
Trovo divertente che tutte le tue modelle indossino delle parrucche, come mai questa decisione?
È un cuscinetto carino tra il mondo reale e questa esagerata versione del mondo in cui vivono i miei soggetti. Credo che il lato gloss delle mie immagini aiuti le persone ad osservare le mie foto.
È vero che ti occupi tu stessa dello styling delle tue fotografie?
Sì. Mi occupo anche di del set design, delle luci, più o meno di tutto. La superficie estetica si relaziona direttamente a che impatto c’è con la comunicazione sott’intesa, per questo motivo tutto deve essere così specifico.
Ci sono un sacco di riferimenti del passato nello styling delle tue fotografie, è come se le tue donne scaturissero da un’era passata, dove le donne erano più femminili e sofisticate, come mai questa scelta specifica?
La drammaticità di tutti quei vecchi film era accresciuta da tutto quel makeup, dai costumi e dalle luci tutto era al meglio. Visivamente, niente sembrava così reale tanto che ci allontanava con tutto continuamente dal lato narrativo. Ora molti film tendono ad essere il più reali possibili alla vita reale, che suppongo uno debba fare più attenzione a ciò che vuole raccontare.
Molte tue immagini sembrano avere dei riferimenti ai lavori di William Eggleston e di Jeff Wall
Amo i loro lavori, sono totalmente ispirata da loro come da molti altri come Weegee, Brassai, Arbus, Joel Sternfeld, Guy Bourdin, Helmet Newton, Maya Deren, Salvidor Dali, Man Ray, Bruce Gildon e DiCorcia. Sono tutti dei grandi.
Ho visto il tuo cortometraggio Despair, è molto carino perchè e come se avessi portato le tue immagini ad un altro livello: la vita. Com’è stata quell’esperienza?
È stata un’esperienza incredibile: la storia che c’è dietro il film è nata dal fatto che volevo fare vedere che cosa ci fosse prima, durante e dopo una mia fotografia. Sì esattamente come hai detto tu volevo portare in vita una mia fotografia per pochi minuti. Il film infatti dura solo tre minuti e trenta. Non avevo assolutamente alcuna idea di dove mi sarei trovata una volta iniziato questo progetto, c’è stato tantissimo lavoro, ma ora che so come si fa ti dico che ne voglio fare molti altri in futuro. Fare dei film è completamente un mondo diverso.
Mi piace il dramma ed il melodramma stilistico alla Alfred Hitchcock e David Lynch che evocano i tuoi lavori, me ne parli?
Come ti ho detto i lavori di William Eggleston mi hanno portato ad essere una fotografa, quando ho visto le sue immagini la prima volta non potevo comprendere come qualcosa che al primo sguardo sembrasse uno snap shot mondano potesse drammaticamente avere un effetto sul mio modo di sentire. Questi piccoli e colorati snap shot noiosi cambiarono completamente il mio modo di vivere fino a quel punto. David Lynch è un grande come lo sono stati Fellini e Godard, lui ebbe il talento di mettere queste strane idee che aveva nella testa sulla schermo in modo che tutti potessero vederle. È per me una grande fonte d’ispirazione e mi porta a credere che tutto sia possibile.
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