giovedì 6 novembre 2008

Ryan Pfluger - Interview


Ryan Pfluger nato nel 1984, è un giovane fotografo americano che vive a Brooklyn, nei suoi lavori, sia quelli artistici che quelli commissionati dalle riviste, focalizza la sua attenzione sui ritratti di giovani ragazzi. Il leitmotif di Ryan sono i rapporti interpersonali; famigliari, d’amicizia e di sesso. Le sue fotografie sono il mezzo con cui riesce ad allacciare rapporti con questi soggetti, che altrimenti rimarrebbero incompiuti per la sua timidezza trasformandoli in qualcosa d’intimamente reale e tangibile.

Ti ricordi quando hai comprato la tua prima macchina fotografica ed hai iniziato a fare foto?
Ricordo di averla comprata quando ero matricola all’università, quell’anno sarei andato in Australia per sei settimane e volevo una macchina fotografica con me. Sono diventato più serio e determinato verso la fotografia circa un anno dopo.

Quindi è stato in quell’anno in cui ti sei accorto che la fotografia sarebbe diventata il tuo mezzo d’espressione?
Sto ancora scoprendo il modo di esprimere me stesso, è un processo continuativo, ho capito che la fotografia è diventata il mio sfogo costante nell’affrontare rapporti e tematiche molto importanti per me.

Uno dei tuoi progetti si chiama “Not Without My Father”, da dove è nata questa idea e com’è il rapporto con tuo padre?
Il progetto è nato da un commento che mi ha fatto Collier Schoor, che era uno dei miei professori di laurea. Mi disse, che il mio lavoro era troppo sicuro e che avrei dovuto fotografare un soggetto che sentissi scomodo. Non avevo un buon rapporto con mio padre, quindi quel progetto è stato per me il modo per coltivare un rapporto con lui.

Mi piace il modo in cui fotografi i giovani, perchè sembrano persone che frequenti. Sei in grado di immortalarli nei loro momenti più intimi, portando chi osserva le tue foto a voler sapere più di loro.
Questo accade perchè questi ragazzi sono quelli che frequento nella vita di tutti i giorni e le mie fotografie sono il mio modo di superare il mio essere socialmente impacciato. Rappresentano, infatti, il mio legame con queste persone a cui altrimenti non riuscirei a relazionarmi, invece fotografandole ci viene offerto qualcosa in comune, che è solo tra noi.

Ma come fai a renderti conto quando è l’istante giusto per scattare e fermare questo momento d’intimità?
Credo che l’essere completamente tranquillo quando fotografo, mi aiuti ad essere completamente conscio del momento in cui scattare, do solo alcune piccole direzioni a chi posa per me. Le mie fotografie sono la rappresentazione dell’esperienza che queste persone provano nel trovarsi da sole con me e con la mia macchina fotografica.

È per questo che alcuni pensano che tu abbia un rapporto sessuale con le persone che fotografi...
E ciò non mi da alcun fastidio, ciò non significa che io non abbia avuto dei rapporti, prima o dopo, con alcune persone che ho fotografato. Col fatto che ho fotografato molte persone è naturale per me che con alcune di loro ci sia andato a letto, anche se non con la maggioranza di loro, e a dire il vero in seguito non è che ci sia poi questa grande interazione.

Hai fatto anche molti editoriali di moda, come artista hai mai sentito dei limiti nel momento in cui scattavi questi servizi, oppure non te ne importava ed hai sempre fatto come ti piaceva?
Ho scattato quei redazionali perchè è ciò che mi piace fare; fotografare. Che sia per una rivista, per una mostra in una galleria o per me stesso, non mi pongo mai dei limiti. Voglio solo che la gente veda ciò che faccio. Mi rendo anche conto che molte persone non vanno a vedere le mostre, ma sfogliano una rivista e o visitano siti web. Per me ciò che conta è fotografare e mostrare ad altri i miei lavori.

Sarebbe bello poter vedere le tue foto in un libro, quando pensi saremo in grado di acquistarne uno?
Probabilmente a febbraio, è in lavorazione un libro d’arte in edizione limitata, e spero anche di riuscire a pubblicare un lavoro monografico l’anno prossimo.

Abiti a Brooklyn, cos’è che ti piace di più nel vivere in quella zona di New York?
Sono cresciuto qui e sarà sempre per me il posto che io chiamo casa. È questa la cosa che mi piace di più di Brooklyn il fatto che mi fa sentire a casa. Inoltre adoro l’enorme quantità di persone che vivono a New York e continuo ad incontrare e vedere volti che voglio fotografare.

A cosa stai lavorando al momento?
Sto lavorando ad un nuovo progetto fotografando photo editor, curatori e commercianti di New York. Il progetto si chiama Edited e verrà esposto a marzo nella mia galleria. Riguarda il cambio di ruoli con coloro che prendono le decisioni nella fotografia contemporanea, mettendoli sotto il microscopio e facendogli rinunciare al loro controllo e mostrando così anche un lato più intimo delle loro vite.

Cosa fai quando non fotografi?
Guardo molta televisione e film, sono ossessionato dalla cultura popolare, mi piace un sacco anche stare all’aperto e viaggiare, cerco di lasciare New York ogni tre o quattro mesi per liberare la mente, valutare i miei lavori e divertirmi nell’essere vivo.

Dove trovi l’ispirazione per i tuoi lavori?
Onestamente le persone in generale m’ispirano. È per questo motivo che faccio maggiormente ritratti. Ci sono anche un sacco di fotografi contemporanei ed artisti con cui ho dei legami e che mi spingono a voler continuare come fotografo. Anche viaggiare in posti diversi incontrando nuove persone che mi danno nuovi input su ciò che sto facendo sono fonte d’ispirazione per me.

Mi divertono i tatuaggi che hai sul corpo, quando hai iniziato a farli? Ne hai uno che ha un significato particolare per te?
Amo moltissimo il corpo e mettere il proprio marchio su ciò che naturalmente ti è stato dato m’interessa davvero. Tutti i miei tatuaggi hanno una loro storia o scherzo a riguardo. I due che ho sul petto sono un omaggio ai miei due film preferiti Squola di Mostri e Mullholand Drive.

C’è una persona per cui moriresti pur di fotografarla?
Oddio troppi! Anche se al top della lista ci sono Mila Jovovich e Cecile de France.

Nessun commento: