Le opere di Erik Sandberg ritraggono figure umane dalle sembianze cammuffate e oscurate da un’enorme manto di peli colorati, così come i vestiti e gli accessori che indossano che sembrano urlare il bisogno di colore e stampe grafiche. La fonte d’ispirazione di Erik è la nostra realtà con le sue dicotomie culturali: il consumismo, la celebrità idolatrata ed il suo impossibile raggiungimento. Erik illustra nelle sue opere gli effetti psicologici ed inquietanti che fenomeni come i social media e la celebrità istantanea hanno sugli esseri umani. I suoi soggetti grottescamente pelosi non sono altro che la manifestazione dell’innocenza corrotta, il pelo come metafora dell’assorbimento del consumismo e del ritorno allo stato naturale. Il talento di Erik è quello di sapere sovvertire le nozioni convenzionali di bellezza e di sapere rendere desiderabile e favoloso ciò che un tempo era sinonimo di “bestialità” ...che possa risiedere ancora in noi?
Sei nato e cresciuto nel Minnesota, cosa ricordi della tua infanzia e dei tuoi anni da teenager?
Culturalmente ed architettonicamente il Minnesota è uno stato banale sopratutto nelle aree periferiche, al contrario Minneapolis è un piacevole contrasto a tutto questo. I laghi del nord sono stati memorabili per i miei momenti di ricreazione la ricreazione.
Ma è così conservativa quanto si dice la periferia del midwest?
Lo era un tempo, è una disparità molto evidente nel midwest, te ne rendi conto quando visiti città come Los Angeles. Credo che la disparità sia il carburante della noia che si manifesta nei party selvaggi intorno ai falò e alla dissolutezza lungo il fiume Apple. Tutto avviene in risposta al caro e pessimo tappeto bianco delle ville a schiera dei nostri genitori.
Dal Minnesota ti sei trasferito a L.A. credi che l’esserti mosso tra queste due diverse realtà abbia influenzato la tua arte?
Sicuramente, il cambio d’ambiente nella vita di una persona non può non influenzare il suo comportamento artistico o sociale. Ero parte integrante della vita del Midwest e poi ho scelto di far parte di quella della città protagonista dei film con cui sono cresciuto.
Hai cambiato l’idea che ti eri fatto di L.A. dal momento in cui ti eri appena trasferito?
Sì. Mi piace di più adesso, Los Angeles è la mia casa ed è davvero una città unica. Abito qui da abbastanza tempo per sentirmi sposato a lei e non più fidanzato. È diventata più brutta e un pochino più cattiva verso i confini, credo sia determinato dalla caduta economica degli ultimi anni. Stavo passando sotto un ponte l’altro giorno e mi sono accorto che stavo camminando sopra circa sette centimetri di merda secca di piccioni, ero sul marciapiede ma sembrava di avere della ghiaia sotto le scarpe.
Hai appena fatto una mostra in Australia, mi racconti qualcosa della nuova raccolta di lavori?
Certamente. La mostra intitolata The New Pretty è incentrata sul rapporto tra la proiezione idealizzata di archetipi e la realtà. Molti dei lavori riguardano le dicotomie trovate tra il consumatore americano e la cultura pop. La mostra è composta da quadri, lavori su carta e sculture.
Mi sono subito innamorato dei tuoi soggetti pelosi, me ne parli? Da dove è nata l’idea?
La genesi del primo bambino peloso risale al 2008. I peli hanno avuto origine da un significato più ampio dell’essere una metafora degli effetti sulla cultura contemporanea, il culto dell’idolo, l’emulazione delle celebrity etc... Mi piace la ragazza obesa che é simultaneamente la vittima del marketing del fast food e della sessualità imposta dalla moda teen. M’interessa mostrare le conseguenze psicologiche di questo in un quadro.
Sono quindi una metafora della bellezza e dell’accettazione del proprio corpo nella nostra società?
Sì. I peli sono il veicolo metaforico degli effetti che il consumo culturale ha sul popolo. Sono sempre interessato alla quantità d’immagini proiettate su di noi quotidianamente. Sono curioso di come queste immagini vengono ad esistere, come descrivono accuratamente la verità e se sono di valore reale.
Mi sembra che il tuo linguaggio artistico sia pieno di diversi materiali, tecniche e strumenti. E’ forse per il fatto che siamo costantemente circondati dalle diversità che che nel complesso creano un insieme?
Sono d’accordo, le costruzioni materiali sono ideologiche. Ho iniziato ad usare strumenti differenti fin dai primi lavori, nel 2008, in una serie intitolata The Equilibrium Of Glamour, quei lavori erano molto più narrativi, con ambienti cinetici che mostravano aspetti mostrano unici del vivere a Los Angeles. Ho cercato di sintetizzare con i materiali i diversi processi, per esprimere qualcosa di nuovo ed integrato. Nei ritratti il materiale usato era più industriale e concettuale, sono stato in grado di esprimere le mie idee attraverso la giustapposizione di materiali che alludessero allo stato interiore ed ambientale del ritratto, senza la rappresentazione di elementi.
I colori hanno un grande impatto nelle tue opere, alcune volte sembrano pure psichedelici e si riferiscono ad una palette di colori degli anni ’80, ma molte delle ragazze pelose sono in bianco e nero mentre i loro outfit ed accessori sono colorati perchè?
I quadri a cui ti riferisci sono stati concepiti poco dopo aver fatto una serie di stampe da negativi cianotipi disegnati a mano. Come risultato del processo chimico di cianotipia il colore delle stampe è diventato un profondo ciano e bianco. Quei disegni fotografici erano più tranquilli, eterei e spettrali. Ho voluto portare quel tono visivo nei dipinti per contrastare i colori attivi dell'ingranaggio del consumatore. Gli effetti della baldoria nella cultura del consumo possono diventare ipnotici come i tra i lampeggianti banner del web, i cartelloni pubblicitari, ed il richiamo luminoso degli astucci dei gioielli a basso costo. Il colore tenue simboleggia le conseguenze dell’essere degradato. Il metodo di stampa alimenta la pittura, di solito per me è il contrario, i dipinti alimentano la stampa.
Come artista è difficile avere sempre nuove idee per le tue creazioni o è qualcosa che ti viene naturale? Mi spieghi come funziona il tuo processo creativo?
Non è difficile trovare idee, ciò che reputo personalmente una sfida è mantenere in crescita il lavoro sia formalmente, concettualmente, ed anche personalmente. Come pittore sono pienamente consapevole del peso della storia e le sfide poste in termini di pittura. Alla fine di una giornata spingere materiali in giro anche se è un totale disastro, mi sembra ancora propositivo. Le idee per lo più sono nate dagli aspetti della vita contemporanea, da messaggi paradossali trovati nella cultura del consumatore americano, dai simulacri del popolo, ed osservando la vita quotidiana che ci circonda.
Che CD ascolti quando sei in studio a creare arte?
Solitamente metto musica in streaming su Groove Shark, Pandora o Museum Pod Casts. Trascorro così tante ore in studio che poi comincio a passare attraverso diversi generi di settimana in settimana, o inizio a guardare un’intera stagione televisiva su Netflix. Ho guardato 9 stagioni di Stargate SG-1 di fila mentre lavoravo alla mia ultima mostra a New York. Negli ultimi mesi mi sto facendo una sana abbuffata di Guns ‘N’ Roses.
Se ti dovessi rappresentare come uno dei tuoi soggetti pelosi in uno dei tuoi lavori che colore sceglieresti e perchè?
Forse il rosso neon, perchè quel colore sarebbe figo mentre si fa rollerblading in spiaggia o nuoto agonistico.
Prossimi progetti?
Attualmente sto seguendo la pre-produzione di una coppia di opere video e una nuova mostra personale dal titolo Down By The River che si terrà presso la Galleria Johanssen a Berlino il 2 dicembre 2011.
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