martedì 19 maggio 2009
Alessandro Di Giampietro - Interview
Le sue fotografie hanno la capacità di rendere il quotidiano qualcosa di sublime, dove l’approccio spontaneo, non costruito e in questo senso autentico, reale e tangibile, riflette le nostre infinite capacità di conoscenza di un’esperienza, in questo caso quelle dell’artista. Sono momenti decisivi, fragili, intimi, personali e folli, dei veri morsi di realtà che Di Giampietro ci regala, per documentare la propria realtà ed il proprio mondo, come un momento catartico di riconsiderazione del proprio io interiore, che si rivela più un punto di partenza che uno scontato punto d’arrivo. La sua è una lettura alternativa dell’uomo come soggetto singolo, che fotografa come mezzo per conoscere e documentare se stesso, ritraendo un gruppo o uno spaccato di società, quella che vive e che lo circonda. Ciò che colpisce è lo spirito con cui ritrae i propri soggetti, come se fosse affascinato dall’idea che ogni individuo ha di sé nel momento in cui svela il proprio universo rivelandosi ad altri.
Come definiresti il tuo background?
Direi in continua formazione, per fortuna.
Mi sembri un grande osservatore, è per questo, che hai iniziato a fare fotografia?
No non proprio, avrei potuto tenerle per me. In realtà è la voglia di sentirsi presente che mi ha portato a mettere su carta il mio "universo", fatto di paure, desideri e fobie.
La caratteristica che mi colpisce nelle tue fotografie è la spontaneità, credi anche tu sia un elemento che appartiene al tuo lavoro?
Assolutamente tutti i miei progetti, paralleli a Young Guns, sono basati sulla spontaneità e sulla ricerca dell’estetica nel reale. Trovo, per quanto mi riguarda, basilare la spontaneità come mezzo per esprimere delle verità.
In Boy – Friends hai fotografato ragazzi principalmente nudi, provi una certa differenza tra te ed altri artisti che lavorano sullo stesso tema, ma in un contesto puramente omosessuale?
Il lavoro è un inno alla libertà d’essere se stessi. La nudità d'altronde è una cosa molto naturale. In principio volevo ritrarre ragazzi etero ed omosessuali svestiti d’ogni riferimento che potesse collocarli socialmente. Il titolo doveva essere "Good As You" ( manifesto gay degli anni 60 per rivendicare le pari opportunità con gli etero), poi andando avanti con il lavoro ho avuto molte difficoltà nel far svestire ragazzi straight, da lì quindi ho cambiato direzione ritraendo solo ragazzi gay nel mio appartamento.
Il lavoro non vuole essere un’indagine sull’ambiente omosessuale, ma solo un mio punto di vista molto "light" e se vuoi anche ammirato per alcune libertà in più che hanno rispetto all’ambiente eterosessuale. Così anche il titolo è volutamente scritto in modo sbagliato “Boy-friends”. Ho trovato intrigante lavorare, in modo disinteressato, con persone svestite dello stesso sesso. Quello che m’interessava inoltre, era mantenere il lavoro spontaneo e naturale, facendo passare in secondo piano la nudità maschile che spesso, a differenza di quella femminile, è ritenuta volgare e antiestetica.
Young Guns è un progetto che segui da anni è una sorta di diario personale, me ne parli?
È un lavoro "terapeutico". Volevo dimostrare a me stesso che stavo vivendo, il tutto è nato in un periodo dove non mi era ben chiaro quale direzione stavo prendendo con la fotografia. Ho iniziato così ad utilizzare le persone, amici e cose per documentare me stesso attraverso gli altri.
Da lì questo progetto, costantemente in progress, fatto di " flash" che riassumono le esperienze e i momenti che mi sono trovato a vivere.
Il progetto è nato nel 2003, durante un vernissage in una galleria in cui erano esposti i miei lavori inerenti ai due anni di collaborazione con una delle riviste indipendenti italiane meglio riuscite, "caffelatte". Young Guns, nel titolo c'è tutta la mia paura di crescere, se vuoi anche le persone ritratte sono degli eterni Peter Pan. Nel progetto appaio solo in due scatti uno è un dettaglio molto significativo del mio essere, cioè il braccio sinistro tempestato di tatuaggi che per lo più sembrano i classici disegnini fatti da bambini con l’Uni Posca. L’altro invece è un ritratto scattato durante una situazione delirante, da Giona Bernardi, artista, amico e musa ispiratrice.
Qual’è la cosa che ti colpisce nelle persone che fotografi?
Ognuno è un universo a se, sono molto curioso, ma allo stesso tempo terrorizzato dalle persone. Le persone che ho fotografato e che continuo a fotografare hanno tutti qualcosa in comune con me, può essere un lato del carattere oppure la loro sensibilità o alcune esperienze “importanti” di vita che ti lasciano un segno e che ti accomunano in qualche modo a chi le ha vissute.
Credi sia in un certo senso più semplice documentare un’esperienza e una realtà nel momento in cui se ne fa parte oppure è meglio raccontarla dall’esterno?
Non saprei, per me è più facile documentare esperienze che mi appartengono e quindi che vivo fino in fondo anche a livello sentimentale. Raccontarle dall’esterno mi sembra più una cosa da reporter, non che voglia sminuire i reporter, anzi, solo che non mi sento tale. Per un reporter è basilare riuscire a documentare in senso obbiettivo, restando distaccato, avendo pieno controllo sui sentimenti; io non ne sarei in grado, nè m'interesserebbe. Voglio solo mettere a nudo il mio piccolo universo, che poi se vuoi, è comunque uno spaccato di società contemporanea.
Nelle tue foto mi piace cogliere questa sottile linea tra fragilità, follia e profonda dignità che emerge dai soggetti che hai immortalato, nei 13 Apostoli lo leggo negli sguardi, e in Young Guns da dove e da come li hai fotografati. Come riesci ad ottenere quest’effetto?
Tutto accade in modo molto spontaneo, anche nei ritratti più posati come nei 13 Apostoli, lo scatto è molto veloce, non do mai il tempo alla persona ritratta di assimilare e quindi impostarsi per la situazione. Quel che ne scaturisce è la vera personalità di ognuno dei soggetti. Sono molto affascinato dalla " sorpresa" ovvero da quello che accade in uno snapshot; l’elemento che non controlli, impossibile ricrearlo in uno scatto costruito, ma invece quel qualcosa in più che rende lo scatto più interessante, più vero, anche se a volte disturba l’immagine, ma quella è appunto la forza dell’immagine stessa.
Nei 13 Apostoli, se una persona si ferma all’apparenza e non sa la storia che si cela dietro a questi personaggi potrebbe pensare che si tratti di una raccolta di ritratti con il naso da clown invece...
Una lettura superficiale potrebbe portare a questo, in realtà è esattamente il contrario. Il lavoro racchiude tutte le mie paure, le mie fobie e la mia grande curiosità verso le persone che sono un pò borderline, ma allo stesso tempo anche una gran paura, nel mio immaginario da bambino il pagliaccio celava dietro la sua ilarità, un anima oscura, che mi ha mi fatto sempre molta paura.
Credo che la fotografia sia intrigante per il fatto che il contesto rimane sempre ambiguo, una volta che l’hai scattata e la fai circolare tutti la possono prendere in mano ed immaginarci attorno ciò che vogliono, hai mai avuto paura che le tue immagini venissero mal interpretate?
No, perchè è una cosa normale, può accadere. Quel che faccio è principalmente per me, poi c'è chi è affine e chi no ma tutto questo fa parte del gioco. Non ho la pretesa di essere compreso da tutti. Non è così importante che la chiave di lettura sia solo quella che vuole dare l’autore, come dicevi tu prima la fotografia, come l’arte contemporanea in genere, è ambigua e lascia spazio a molteplici interpretazioni.
Quali sono i fotografi che ti hanno influenzato o che hanno avuto una certa importanza per te?
Ce ne sono tanti, Eggleston per la ricerca sul colore, Tillmans per la delicatezza e la semplicità, Mikhailov per l’avanguardia compositiva che aveva già negli anni 70 in Unione Sovietica. Goldin è riuscita a trasmettere tutto il malessere che aveva in quegli anni, ammiro molto anche il lavoro di artisti contemporanei come Koons,
l 'ultimo artista veramente pop, ma anche altri meno noti ma con un lavoro molto coerente al loro personaggio, amici quali Giona Bernardi, Paolo Gonzato, Roberto Cuoghi e Paola Pivi, da tutti loro cerco sempre d’imparare qualcosa. Inoltre il lavoro di Franco Vaccari sull’occultamento dell’artista, che nonostante sia l’opposto del mio lavoro, mi ha sempre affascinato, che poi tanto differente forse non lo è per alcune cose, dato che anch’io nelle mie immagini, come dicevo prima cerco l’effetto sorpresa, che in uno snapshot avviene al momento dello scatto.
Credi che il fatto di essere cresciuto come artista in Italia, abbia precluso delle opportunità come quelle che avresti avuto lavorando all’estero, oppure credi non avrebbe fatto differenza?
Bah! Non saprei, forse si, forse no. Spesso lo si usa come una giustificazione per non guardare la realtà sai la solita frase: "Se fossi a.... , sarei o farei". Non so, la mia realtà di oggi è qui, domani potrebbe anche essere da un altra parte o sempre qui. L importante è continuare per la propria strada senza precludersi niente.
Hai già pensato al prossimo passo?
Continuare a essere coerente...poi si vedrà.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento